Textura

TEXTURA è un progetto editoriale di TramaPlaza. Questa pubblicazione è la voce del collettivo TramaPlaza. È un esperimento editoriale digitale/cartaceo di scrittura a più mani che si propone di analizzare la sostenibilità attraverso la lente dell’arte per scoprire le connessioni tra i due mondi, cercando di creare a nostra volta qualcosa che sia un prodotto artistico.

TEXTURA #1 – COLLETTIVO

EDITORIALE

 

“Che possiate continuare a nutrirvi dei vostri sogni, materia sottile e impalpabile che rende una vita degna di essere vissuta. Che possiate continuare a nutrirvi di immaginari poetici ed inclusivi rimanendo fedeli ai vostri valori. Che possiate sempre vivere delle vostre passioni, sospinti dal vento della libertà.”  Alessandro Michele

(Dal comunicato stampa con cui sono state annunciate le sue dimissioni dal ruolo di Direttore Creativo di Gucci)

 

Quello che stai leggendo è un progetto editoriale di Trama Plaza, un’associazione che ha l’obiettivo di ispirare le persone e incentivare il cambiamento in ottica di sostenibilità grazie all’informazione e alla divulgazione della conoscenza. Le attività principali dell’associazione TramaPlaza consistono nella promozione di un modello di sviluppo sostenibile che utilizza l’arte per parlare alla società.

 

Le nostre parole chiave quindi sono sostenibilità e arte. Ma in che modo l’arte può aiutare la sostenibilità? Cos’hanno in comune questi due concetti? In questa pubblicazione esploreremo proprio le connessioni tra arte e sostenibilità, e la prima che ci viene in mente è proprio la difficoltà di darne una definizione semplice e univoca.

Che cos’è l’arte?

Che cos’è la sostenibilità?

Sapresti rispondere senza pensarci troppo?

 

Wikipedia dice che l’arte “nel suo significato più sublime è l’espressione estetica dell’interiorità e dell’animo umano. Rispecchia le opinioni, i sentimenti e i pensieri dell’artista nell’ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico”.

Qui vogliamo analizzare la sostenibilità attraverso la lente dell’arte per scoprire le connessioni cercando di creare a nostra volta qualcosa che sia un prodotto artistico. 

 

Quello che vogliamo fare è

raccontare storie persone esperienze

immaginare nuovi mondi (come sarà un mondo in cui ha vinto la sostenibilità?)

scoprire significati che non avevamo previsto.

Partiremo dall’assunto che l’arte può essere uno strumento per raggiungere un fine, la sostenibilità.

 

La sostenibilità è caratteristica di un processo o di uno stato che può essere mantenuto a un certo livello indefinitamente. Ma anche come un processo socioecologico caratterizzato dal desiderio di perseguire un ideale comune. Questa pubblicazione è la voce del collettivo TramaPlaza, è un esperimento editoriale digitale/cartaceo di scrittura a più mani, ma puoi chiamarlo semplicemente TEXTURA.

 

TEXTURA nasce da quasi un anno di incontri settimanali tra alcune componenti del collettivo durante i quali ci siamo confrontate sul nostro personale approccio alla sostenibilità e su quale potesse essere il valore aggiunto alla causa di un nuovo progetto editoriale. Abbiamo raggiunto la conclusione che questo valore aggiunto risiede proprio nell’essere il prodotto di un collettivo, cioè di un gruppo di voci diverse e molteplici punti di vista ma con un obiettivo comune. Un po’ come un prisma che intercetta un raggio di luce e restituisce un arcobaleno, ma al contrario.

 

Il nostro obiettivo è di riempire di significati la parola “Sostenibilità” giocando con le parole. Qui su TEXTURA ce ne sono tante ma la prima e più importante, per noi, è stata proprio quella che ci definisce – COLLETTIVO. E da questa parola inizia il nostro viaggio.

Buona lettura!

 

(Testo di Carmen Guarino)

 

sostenibilità solidarietà rispetto gruppo solidarietà olistica necessità conoscenza messaggio valore responsabilità percorso consapevolezza prendersi cura sopravvivenza attenzione approfondimento futuro rispetto connessione nuova vita tempo necessario futura ricerca curiosità design responsabilità pesare meno partecipare gentilezza connessioni rigenerazione consapevolezza responsabilità armonia sostenibilità

2. SIAMO UNO STORMO

 

La parola collettivo indica un “raggruppamento o adunanza di persone che svolgono attività politica, sociale e culturale senza organizzazione gerarchica” e anche una caratteristica “che è comune a più persone”.

Viene dal latino, da collectivus, con il significato di “che raccoglie insieme”. Per intenderci, ha la stessa derivazione di “colla” e “collage”.

 

Sapere da dove vengono le parole che usiamo è importante perché ci raccontano molto della nostra società, del suo passato e della sua direzione.

Le parole dicono molto anche di noi come individui; quando ricorriamo a una parola piuttosto che a un’altra, prendiamo una posizione. Siamo le parole che scegliamo di pronunciare e anche quelle che decidiamo di tacere.

Non esistono parolacce o parole belle: esistono quelle più giuste per un’occasione o per noi.

 

Ci sono parole che ci seguono, e cambiano immagine nelle diverse stagioni che attraversiamo: collettivo al liceo per me era una stanzetta al piano terra della mia scuola piena zeppa di anfibi con i lacci colorati, pantaloni a zampa di velluto a coste, e musica rap.

All’università è diventato un movimento politico con manifestazioni e iniziative sociali.

Successivamente è stato un gruppo di ricerca teatrale tra musica elettronica e testi di Pasolini e Ovidio.

 

Ora collettivo per me è TramaPlaza.

 

Perché continuo ad aderire a gruppi, a ostinarmi ad accompagnarmi a questa parola?

Forse perché, incapace come sono di ingannarmi pensando a un futuro migliore, la cosa più naturale da fare mi pare quella di accostarmi agli altri per essere meno vulnerabile, come fanno gli uccelli quando si uniscono a uno stormo.

La zoologia ci insegna che questi gruppi di uccelli sono strutture senza forma che ragionano in modo collettivo, senza leader e comunicazione tra loro.

Quando uno stormo cambia direzione improvvisamente accade perché un componente del gruppo prende l’iniziativa e gli altri lo seguono, ed è impossibile definire quale membro del gruppo abbia intrapreso il nuovo itinerario. Straordinario, no?

 

Stormo è un nome collettivo.
I nomi collettivi, in grammatica, sono parole che, anche se declinate al singolare, denotano un insieme di entità o individui, una collettività, come “sciame”, “branco”, “folla”.

 

Se è vero che le parole servono ad associare un’immagine a un’entità, per me TramaPlaza è questo: siamo uno stormo.

(testo di Michela Vietri)

3. Senti come Ri-suona: musica & upcycling

 

Quando si parla di upcycle la prima immagine che ci viene in mente é sempre riferita a qualcosa di materiale, come un abito o un oggetto, probabilmente destinato a diventare rifiuto, che viene recuperato ed utilizzato nuovamente nella forma originale oppure rimaneggiata.

Se però facessimo più attenzione a ciò che ci circonda e che fa parte della nostra realtà di tutti i giorni, ci accorgeremo che il “riciclo” é talmente presente nella trama delle nostre giornate che ne rimarremmo stupiti. Per esempio, avete mai pensato che le cover musicali non sono altro che una meravigliosa forma di upcycling? Nell’arte infatti il riuso é assai frequente.

Abbiamo selezionato una lista di brani famosissimi più o meno recenti. Vi invitiamo ad ascoltare anche gli originali!

 

I Will Always love you 

Whitney Houston  (1992) / Dolly Parton (1974)

 

Meraviglioso 

Negramaro 2008/ Domenico Modugno (1968)

 

Halleluja

Jeff Buckley (1994) / Leonard Cohen (1984)

 

Mollami 

Guè Pequeno (2021) campionamento di Here come the Hotstepper” Ini Kamoze (1994) 

 

American Pie

Madonna (1998) / Don McLean (1971)

 

Venus

Bananarama (1986) / The Shocking Blue (1969) 

 

Alta marea Antonello Venditti (1991) / Don’t dream is over Crowded House (1986)

 

Almeno tu nell’universo

Elisa (2003) / Mia Martini  (1989)

 

Girls Just wanna have fun

Cindy Lauper (1983)/ Robert Hazard (1979)

 

Bittersweet simphony The Verve (1996) / The last time The Rolling Stones (1965)

 

Nothing compares 2u

Sinaed O’Connor (1991) / Prince (1985)

 

(testo di Chiara Avezzani)

4. Nasce Alfaafi, una casa per la cultura afrodiscendente

Intervista a Simao Amatista

Il panorama internazionale degli ultimi anni ha visto il movimento Black Lives Matter protagonista di un ‘apertura graduale e costante della società occidentale verso l’Africa e l’afrodiscendenza.
Il nostro desiderio è stato capire se in Italia si stia creando un grande collettivo di afrodiscendenti e se sì ci siano i presupposti affinché il valore della diversità di queste meravigliose culture possa essere recepito più profondamente anche grazie all’arte e alla moda.
A questo scopo abbiamo deciso di intervistare Simao, antropologo ed esperto di religioni afrodiscendenti per farci raccontare il percorso personale e professionale che l’ha portato a fondare recentemente Alaafia, un’associazione culturale appena nata con lo scopo di raccontare e far conoscere le tradizioni afro in un’ottica partecipativa, innovativa e giovane. Il suo raggio d’azione iniziale sarà tutto il nord Italia.
La storia e l’esperienza di Simao s’intrecciano più che mai con l’attuale periodo storico italiano nel quale si sta scorgendo lo stabilizzarsi di varie comunità di afrodiscendenti e non che praticano filosofie spirituali africane o afrodiscendenti. In questi anni in varie regioni italiane sono sorti centri culturali e religiosi di questi gruppi, altri stanno nascendo proprio ora, come ad esempio a Milano, dove ci sarà un centro e luogo di culto afrobrasiliano. Sarà una delle tante realtà con cui l’associazione Alaafia collaborerà.

Chi è Simao?
Sono un antropologo, docente, formatore ed esperto d’arte rituale tradizionale dell’Africa dell’ovest e in generale dell’Africa subsahariana. Sono nato in Brasile in una comunità afrodiscendente e sono cresciuto a Modena, città a cui sono molto legato. Ho da sempre mantenuto il contatto con le tradizioni spirituali e culturali afrobrasiliane studiando al contempo le tradizioni e le filosofie africane; queste ultime sono la radice e la fonte di tutte le culture africane presenti nel mondo, anche di quelle che troviamo in America. Questo mio interesse è nato per una ricerca quasi personale, volevo sapere di più su me stesso, su quello che ero, su quello che eravamo noi afrodiscendenti e su quello che siamo. Mi sono reso conto che l’immagine che la narrazione ufficiale e universale da dell’Africa e dell’afrodiscendenza è molto limitante, fuorviante e inesatta; questo ha fatto scattare in me la volontà di studiare direttamente alla fonte queste cose.

Perché hai deciso di fondare un’associazione? Di cosa si tratta più esattamente?
Siamo un gruppo di persone iniziate al Candomblé che hanno deciso di far nascere l’associazione Alaafia, aperta a tutti. Ma per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro, capendo prima di tutto che cos’è il Candomblé. Si tratta di un riadattamento delle tradizioni e filosofie africane e del proprio rapporto con la spiritualità da parte delle popolazioni deportate in una terra ampiamente ostile come quella del Brasile schiavista. Queste persone hanno creato vari modi di vivere la propria cultura, che a seconda della zona geografica del Brasile hanno preso diversi nomi. Se vogliamo usare un linguaggio più antropologico il Candomblé è un prodotto culturale dell’afrodiscendenza brasiliana che si divide in tre grandi gruppi: Yorùbá (Candomblé Ketu), Fon-Ewe (Candomblé Efon, anche detto Jeje), Bantu (Candomblé Congo-Angola).
Io sono iniziato al Candomblé Ketu che è di tradizione Yorùbá e accomuna tutte le persone che fanno parte di Candomblé Milano e che portano avanti questa tradizione. Si chiama Ketu perché la radice inizialmente più grande dalla quale si è abbeverata questa tradizione proviene dalla regione dove si trova la città di Ketu in Benin, in Africa occidentale e faceva parte del regno Yorùbá.
L’associazione Alaafia, come accennato, collaborerà anche con il centro culturale Candomblé Milano, luogo di culto chiamato in Brasile “terreiro” (si pronuncia teherus). Più precisamente si tratta di territori che una volta erano nascosti nella foresta, diventati poi anche luoghi fisici a livello urbano, dove le persone attraverso le proprie ritualità potevano rivivere la propria africanità a 360 gradi ogni giorno dell’anno. Visto che gli era impedito (dagli schiavisti) all’interno del loro terreno diventava l’unica soluzione possibile.
Alaafia ha la precisa intenzione di divulgare saperi e filosofie delle culture africane, di dare una narrazione diversa tramite corsi, eventi e formazione e avrà un raggio molto ampio di narrazione dell’Africa, al di là anche di quello che è il Candomblé. Ci muoveremo in diverse parti di Italia, soprattutto Milano, la nostra base. Inizialmente ci sposteremo tra Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia e Veneto (dove vivono anche i soci fondatori) prediligendo una modalità più “afro”, ovvero quella dell’incontro e dello scambio, e naturalmente ci appoggeremo ai social per la divulgazione di eventi.

Che tipo di attività farete?
Ci sarà veramente di tutto, da workshop pratici di danze africane legate agli orisha (sono gli antenati divinizzati, parte fondamentale della nostra spiritualità) a corsi di cucina sia afrodiscendente brasiliana che africana. Si terranno mostre di arte tradizionale africana, ma anche mostre di artisti afrodiscendenti italiani e afrodiscendenti brasiliani. Ci saranno attività più teoriche come momenti di divulgazione e di formazione, presentazioni di libri o momenti in cui le persone saranno invitate a sentire parlare di culture africane. Creeremo anche momenti d’incontro riservati a rappresentati delle tradizioni di afrodiscendenti differenti dalle nostre.

Secondo il tuo parere sta effettivamente nascendo un gruppo di afrodiscendenti in Italia?
Si, si tratta di un movimento generale che sta sempre più crescendo, ed è molto vario come lo è l’Africa e l’afrodiscendenza. Ci sono centri culturali e religiosi in Toscana e in Piemonte, e ne stanno nascendo altri a Roma e a Bari, più precisamente si tratta di varie comunità di afro-discendenti che si stanno stabilizzando in tutta l’Italia. Tutto quello che sta accadendo rimane molto utile anche a noi perché con l’incontro scopriamo culture potenzialmente vicine di cui però conosciamo poco o giusto la superficie. È nata come una nostra necessità, ma sto ricevendo dei feedback molto positivi e molto incoraggianti dalle persone che incontriamo.

Come sei arrivato a diventare la persona che sei con questo ricchissimo background?
Io mi sento tante cose e sono tante cose perché ho una storia che mi porta ad avere un’identità culturale molto definita ma anche molto varia. Ho riafricanizzato la mia esistenza come filosofia di vita pur sentendomi appartenere ai luoghi italiani che fanno parte della mia storia personale, come Modena.
Ho incontrato ostacoli di diverso tipo che mi hanno portato a diventare più autentico rispetto alle mie origini e all’Italia. Ho iniziato un percorso di conoscenza di me stesso più profondo e liberatorio.
A livello umano le difficoltà principali, come persona nera che vive in Italia, sono state quelle che purtroppo (e sono condivise da molti) riguardano episodi di razzismo e discriminazione frequenti da parte di chiunque, persone conosciute e sconosciute, in ambiti ufficiali e meno, sia formali che informali.
Questo mi ha portato a riflettere ancora di più su cosa volesse dire essere nero. Sono stato fortunato da un certo punto di vista perché ho scoperto relativamente presto cosa avesse prodotto l’Africa e l’afrodiscendenza e questo ha fatto sì che in me si costruisse una consapevolezza diversa anche di quello che ero. Non che questo mi eviti situazioni in cui posso subire razzismo, ma sicuramente mi da altri strumenti per affrontare queste situazioni. Se non si ha l’occasione di incontrare notizie su una storia più autentica dell’Africa si rischia davvero di credere che essere neri sia una specie di fardello da portare al meglio. Vedo molte persone in questa situazione e mi ritengo molto fortunato.
Da un punto di vista culturale, un grosso ostacolo è stato il modo di classificare i popoli, le persone e le terre da parte dell’occidente. L’Africa è sempre stata classificata nel terzo mondo, e per anni sono stato a tanto così dal crederlo anche io, ma fortunatamente sono successe delle cose, ho incontrato persone e libri che mi hanno aiutato a cambiare idea.
Quando alle superiori si iniziava a studiare qualcosa riguardante l’Africa si iniziava con il commercio triangolare, un avvenimento circoscritto che non dice niente nè dell’Africa nè delle persone che sono state deportate e schiavizzate. Ho iniziato a capire e a farmi delle domande in questo frangente, da adolescente. Discendendo da una popolazione che è stata sempre narrata in un certo modo, avevo bisogno di sapere qualcosa in più su quello che poteva essere il mio passato ma sui canali tradizionali non trovavo molto. E questa mia necessità è sempre stata sminuita da chiunque, anche da professori del liceo e questo ha rappresentato uno dei maggiori ostacoli negli anni. Sono stato più volte scoraggiato dallo studiare la storia e qualsiasi cosa fosse africano o afrodiscendente perché considerato di poco conto, folcloristico, trasmettendomi che di fondo quello che c’era da sapere si sapeva già. Tutt’ora la convinzione che hanno portato avanti i più famosi antropologi e filosofi dell’800 è che l’Africa non abbia mai contribuito all’umanità, e che sia un continente astorico, con dei popoli astorici. Molti antropologi andavano in Africa certi che studiando i popoli africani si studiava quello che erano stati i popoli europei in epoche antiche come se questo continente fosse rimasto indietro. In ogni fase dell’istruzione in Italia (e non solo, anche all’estero) quello che si racconta dell’Africa nella stragrande maggioranza dei casi è qualcosa raccontato da altri da un punto di vista solo occidentale e questo mi ha colpito molto. Quasi mai si vanno a studiare testi scritti da filosofi, scrittori, scienziati africani afrodiscendenti. Anche alla facoltà di antropologia ho capito che purtroppo la situazione era questa, magari con delle piccole eccezioni, e ciò ha alimentato ancora di più questa mia sete di conoscenza da fonti più autoctone. Infatti, sono poi andato in posti specifici, in momenti specifici, per motivi specifici, intessendo rapporti con molte persone che mi hanno potuto anche ospitare.
Prima dell’università ero già stato varie volte in Brasile e un paio di volte in Africa incrociando quasi per caso tradizioni culturali e spiritualità africane legate all’età precoloniale. Dopo l’università invece sono ritornato con il chiaro obiettivo di studiarle.
Sono stato in Madagascar, l’unico paese che esula dall’Africa dell’ovest dove ho potuto osservare il culto precoloniale degli antenati, che ho poi rivisto in Togo, Benin e Gana. Il rapporto ancestrale con i propri antenati è un filo conduttore comune a tutte le culture africane, che sono molto varie e diverse fra di loro. L’Africa è un continente enorme dove negli stessi paesi ci sono profonde differenze culturali ma sono anche caratterizzati dall’essere tutti molto legati al culto degli antenati e alle proprie filosofie tradizionali.

L’arte e la moda possono favorire una comprensione più profonda delle filosofie africane e afrodiscendenti in Italia?
Assolutamente sì, sono sempre state dei grandissimi veicoli di comunicazione culturale. Se vogliamo inquadrarli dal punto di vista afrocentrico rappresentano uno dei tanti modi in cui le popolazioni hanno scelto (perché è stata una scelta) la trasmissione dei saperi orali in modo non scritto sfruttando molto quello che è considerato moda e arte in occidente. Basti pensare i profondi significati che hanno i vari tessuti tradizionali africani o le opere d’arte: sono dei veri e propri libri per chi li sa leggere. Anni fa ho iniziato a studiare le filosofie e le tradizioni africane, soprattutto dell’Africa dell’ovest attraverso le opere d’arte, studiando il loro tessuto culturale. Oltre un valore rituale ed estetico veicolano dei valori e dei significati che sono propri dei contesti in cui sono nate.
Solo adesso sto notando gli effetti di una comprensione più profonda e meno superficiale di queste filosofie afro. Vedo la ricerca di un avvicinamento più rispettoso attraverso l’arte e la moda dove le culture africane sono veramente protagoniste. Si tratta solo di un inizio secondo me e ne stanno usufruendo molto gli afrodiscendenti. Queste cose stanno facendo molta presa su di loro soprattutto lì dove la formazione scolastica è molto carente rispetto alla narrazione ufficiale. Queste filosofie sono utili e fruibili da tutti e credo possano aprire gli orizzonti alle persone. Ma possono essere portate avanti solo da chi ne comprende il significato, ne rispetta le tradizioni, le origini e le proprietà culturali. Finalmente si cominciano lentamente a vedere delle aperture verso forme di bellezza diverse da quelle meramente occidentali. Se penso al Simao adolescente e a quello che aveva davanti quando guardava pubblicità, giornali e film sicuramente il cambiamento si vede anche se non è ancora qualcosa di immediato.

Pensi che potreste diventare i protagonisti nella creazione di una nuova struttura mondiale?
Wow! Sì, di sicuro la direzione dev’essere questa, rendere l’Africa protagonista.
Quando ho deciso di divulgare tutto questo grazie ai social, alle collaborazioni con varie realtà e Alaafia, l’ho fatto dopo aver ricevuto feedback importanti e molti incoraggiamenti, oltre che per un bisogno personale, e questo mi ha oltremodo convinto che tutto ciò sia fondamentale e serva per arrivare ad un vero e proprio cambiamento. L’obiettivo è cambiare le cose, è tutto in crescendo. Si otterrà ma non accadrà subito, perché non è facile e per diversi motivi. Fino ad ora il meccanismo è sempre stato questo: quando gli occidentali creano qualcosa fuori da quello che è geograficamente l’occidente questo qualcosa è comunque considerato occidentale. Quando l’Africa, o i popoli afrodiscendenti creano qualcosa fuori dall’Africa che ha una radice africana questa cosa viene o annullata o inglobata in qualcos’altro.
Facciamo un esempio, il samba è la musica brasiliana per eccellenza. Ma samba è una parola di origine bantu, e quello che adesso è conosciuto come samba è una musica che è nata dopo le cerimonie religiose della macumba e di tutte le tradizioni bantu e del Candomblé, infatti gli strumenti che si usano per suonare il samba tradizionale si ritrovano tuttora nella ritualità afrodiscendente. Finché il samba era considerato qualcosa di africano è stato vietato dal Brasile, questo accadeva fino agli anni ’40-’50 del ‘900. Quando però lo stato brasiliano ha potuto monetizzarlo attraverso il turismo è diventato magicamente brasiliano. Paradossalmente quello che prima lo stato vietava adesso è quello che il Brasile esporta di più, scuole e corsi di samba si trovano in tutta Italia, in tutta Europa e in tutto il mondo.

Cos’è per te la sostenibilità?
Per quanto mi riguarda è un ritorno alle radici seguendo il paradigma filosofico africano che è Sankofa. Significa imparare dal nostro passato e abbeverarci alle nostre tradizioni, per capire come si potrebbe fare meglio domani.
Le nostre tradizioni africane e afrodiscendenti sono tradizioni che adesso verrebbero chiamate con questo neologismo, “sostenibile”, perché profondamente ecologiche. La sostenibilità per me è l’unico modo che l’umanità ha per sopravvivere, gli esseri umani sono gli unici animali che distruggono il proprio habitat. La sostenibilità per me è anche anticapitalismo.
La cultura africana come altre molte culture tradizionali native, come quelle dei nativi brasiliani e dei nativi americani, sono culture in profonda simbiosi con la natura, la sostenibilità senza un rispetto della natura è difficile da ottenere, le persone in occidente vivono sempre più lontane dalla natura. Per molte persone, attualmente, essere immersi nella natura vuol dire avere l’orto sul balcone (che sicuramente è una bella cosa) ma è abbastanza significativo di cosa sia diventato l’occidente oggi.

(testo e intervista di Leda Perretta)

3. Senti come Ri-suona: musica & upcycling

 

Quando si parla di upcycle la prima immagine che ci viene in mente é sempre riferita a qualcosa di materiale, come un abito o un oggetto, probabilmente destinato a diventare rifiuto, che viene recuperato ed utilizzato nuovamente nella forma originale oppure rimaneggiata.

Se però facessimo più attenzione a ciò che ci circonda e che fa parte della nostra realtà di tutti i giorni, ci accorgeremo che il “riciclo” é talmente presente nella trama delle nostre giornate che ne rimarremmo stupiti. Per esempio, avete mai pensato che le cover musicali non sono altro che una meravigliosa forma di upcycling? Nell’arte infatti il riuso é assai frequente.

Abbiamo selezionato una lista di brani famosissimi più o meno recenti. Vi invitiamo ad ascoltare anche gli originali!

 

I Will Always love you 

Whitney Houston  (1992) / Dolly Parton (1974)

 

Meraviglioso 

Negramaro 2008/ Domenico Modugno (1968)

 

Halleluja

Jeff Buckley (1994) / Leonard Cohen (1984)

 

Mollami 

Guè Pequeno (2021) campionamento di Here come the Hotstepper” Ini Kamoze (1994) 

 

American Pie

Madonna (1998) / Don McLean (1971)

 

Venus

Bananarama (1986) / The Shocking Blue (1969) 

 

Alta marea Antonello Venditti (1991) / Don’t dream is over Crowded House (1986)

 

Almeno tu nell’universo

Elisa (2003) / Mia Martini  (1989)

 

Girls Just wanna have fun

Cindy Lauper (1983)/ Robert Hazard (1979)

 

Bittersweet simphony The Verve (1996) / The last time The Rolling Stones (1965)

 

Nothing compares 2u

Sinaed O’Connor (1991) / Prince (1985)

 

(testo di Chiara Avezzani)

4. Nasce Alfaafi, una casa per la cultura afrodiscendente

Intervista a Simao Amatista

Il panorama internazionale degli ultimi anni ha visto il movimento Black Lives Matter protagonista di un ‘apertura graduale e costante della società occidentale verso l’Africa e l’afrodiscendenza.
Il nostro desiderio è stato capire se in Italia si stia creando un grande collettivo di afrodiscendenti e se sì ci siano i presupposti affinché il valore della diversità di queste meravigliose culture possa essere recepito più profondamente anche grazie all’arte e alla moda.
A questo scopo abbiamo deciso di intervistare Simao, antropologo ed esperto di religioni afrodiscendenti per farci raccontare il percorso personale e professionale che l’ha portato a fondare recentemente Alaafia, un’associazione culturale appena nata con lo scopo di raccontare e far conoscere le tradizioni afro in un’ottica partecipativa, innovativa e giovane. Il suo raggio d’azione iniziale sarà tutto il nord Italia.
La storia e l’esperienza di Simao s’intrecciano più che mai con l’attuale periodo storico italiano nel quale si sta scorgendo lo stabilizzarsi di varie comunità di afrodiscendenti e non che praticano filosofie spirituali africane o afrodiscendenti. In questi anni in varie regioni italiane sono sorti centri culturali e religiosi di questi gruppi, altri stanno nascendo proprio ora, come ad esempio a Milano, dove ci sarà un centro e luogo di culto afrobrasiliano. Sarà una delle tante realtà con cui l’associazione Alaafia collaborerà.

Chi è Simao?
Sono un antropologo, docente, formatore ed esperto d’arte rituale tradizionale dell’Africa dell’ovest e in generale dell’Africa subsahariana. Sono nato in Brasile in una comunità afrodiscendente e sono cresciuto a Modena, città a cui sono molto legato. Ho da sempre mantenuto il contatto con le tradizioni spirituali e culturali afrobrasiliane studiando al contempo le tradizioni e le filosofie africane; queste ultime sono la radice e la fonte di tutte le culture africane presenti nel mondo, anche di quelle che troviamo in America. Questo mio interesse è nato per una ricerca quasi personale, volevo sapere di più su me stesso, su quello che ero, su quello che eravamo noi afrodiscendenti e su quello che siamo. Mi sono reso conto che l’immagine che la narrazione ufficiale e universale da dell’Africa e dell’afrodiscendenza è molto limitante, fuorviante e inesatta; questo ha fatto scattare in me la volontà di studiare direttamente alla fonte queste cose.

Perché hai deciso di fondare un’associazione? Di cosa si tratta più esattamente?
Siamo un gruppo di persone iniziate al Candomblé che hanno deciso di far nascere l’associazione Alaafia, aperta a tutti. Ma per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro, capendo prima di tutto che cos’è il Candomblé. Si tratta di un riadattamento delle tradizioni e filosofie africane e del proprio rapporto con la spiritualità da parte delle popolazioni deportate in una terra ampiamente ostile come quella del Brasile schiavista. Queste persone hanno creato vari modi di vivere la propria cultura, che a seconda della zona geografica del Brasile hanno preso diversi nomi. Se vogliamo usare un linguaggio più antropologico il Candomblé è un prodotto culturale dell’afrodiscendenza brasiliana che si divide in tre grandi gruppi: Yorùbá (Candomblé Ketu), Fon-Ewe (Candomblé Efon, anche detto Jeje), Bantu (Candomblé Congo-Angola).
Io sono iniziato al Candomblé Ketu che è di tradizione Yorùbá e accomuna tutte le persone che fanno parte di Candomblé Milano e che portano avanti questa tradizione. Si chiama Ketu perché la radice inizialmente più grande dalla quale si è abbeverata questa tradizione proviene dalla regione dove si trova la città di Ketu in Benin, in Africa occidentale e faceva parte del regno Yorùbá.
L’associazione Alaafia, come accennato, collaborerà anche con il centro culturale Candomblé Milano, luogo di culto chiamato in Brasile “terreiro” (si pronuncia teherus). Più precisamente si tratta di territori che una volta erano nascosti nella foresta, diventati poi anche luoghi fisici a livello urbano, dove le persone attraverso le proprie ritualità potevano rivivere la propria africanità a 360 gradi ogni giorno dell’anno. Visto che gli era impedito (dagli schiavisti) all’interno del loro terreno diventava l’unica soluzione possibile.
Alaafia ha la precisa intenzione di divulgare saperi e filosofie delle culture africane, di dare una narrazione diversa tramite corsi, eventi e formazione e avrà un raggio molto ampio di narrazione dell’Africa, al di là anche di quello che è il Candomblé. Ci muoveremo in diverse parti di Italia, soprattutto Milano, la nostra base. Inizialmente ci sposteremo tra Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia e Veneto (dove vivono anche i soci fondatori) prediligendo una modalità più “afro”, ovvero quella dell’incontro e dello scambio, e naturalmente ci appoggeremo ai social per la divulgazione di eventi.

Che tipo di attività farete?
Ci sarà veramente di tutto, da workshop pratici di danze africane legate agli orisha (sono gli antenati divinizzati, parte fondamentale della nostra spiritualità) a corsi di cucina sia afrodiscendente brasiliana che africana. Si terranno mostre di arte tradizionale africana, ma anche mostre di artisti afrodiscendenti italiani e afrodiscendenti brasiliani. Ci saranno attività più teoriche come momenti di divulgazione e di formazione, presentazioni di libri o momenti in cui le persone saranno invitate a sentire parlare di culture africane. Creeremo anche momenti d’incontro riservati a rappresentati delle tradizioni di afrodiscendenti differenti dalle nostre.

Secondo il tuo parere sta effettivamente nascendo un gruppo di afrodiscendenti in Italia?
Si, si tratta di un movimento generale che sta sempre più crescendo, ed è molto vario come lo è l’Africa e l’afrodiscendenza. Ci sono centri culturali e religiosi in Toscana e in Piemonte, e ne stanno nascendo altri a Roma e a Bari, più precisamente si tratta di varie comunità di afro-discendenti che si stanno stabilizzando in tutta l’Italia. Tutto quello che sta accadendo rimane molto utile anche a noi perché con l’incontro scopriamo culture potenzialmente vicine di cui però conosciamo poco o giusto la superficie. È nata come una nostra necessità, ma sto ricevendo dei feedback molto positivi e molto incoraggianti dalle persone che incontriamo.

Come sei arrivato a diventare la persona che sei con questo ricchissimo background?
Io mi sento tante cose e sono tante cose perché ho una storia che mi porta ad avere un’identità culturale molto definita ma anche molto varia. Ho riafricanizzato la mia esistenza come filosofia di vita pur sentendomi appartenere ai luoghi italiani che fanno parte della mia storia personale, come Modena.
Ho incontrato ostacoli di diverso tipo che mi hanno portato a diventare più autentico rispetto alle mie origini e all’Italia. Ho iniziato un percorso di conoscenza di me stesso più profondo e liberatorio.
A livello umano le difficoltà principali, come persona nera che vive in Italia, sono state quelle che purtroppo (e sono condivise da molti) riguardano episodi di razzismo e discriminazione frequenti da parte di chiunque, persone conosciute e sconosciute, in ambiti ufficiali e meno, sia formali che informali.
Questo mi ha portato a riflettere ancora di più su cosa volesse dire essere nero. Sono stato fortunato da un certo punto di vista perché ho scoperto relativamente presto cosa avesse prodotto l’Africa e l’afrodiscendenza e questo ha fatto sì che in me si costruisse una consapevolezza diversa anche di quello che ero. Non che questo mi eviti situazioni in cui posso subire razzismo, ma sicuramente mi da altri strumenti per affrontare queste situazioni. Se non si ha l’occasione di incontrare notizie su una storia più autentica dell’Africa si rischia davvero di credere che essere neri sia una specie di fardello da portare al meglio. Vedo molte persone in questa situazione e mi ritengo molto fortunato.
Da un punto di vista culturale, un grosso ostacolo è stato il modo di classificare i popoli, le persone e le terre da parte dell’occidente. L’Africa è sempre stata classificata nel terzo mondo, e per anni sono stato a tanto così dal crederlo anche io, ma fortunatamente sono successe delle cose, ho incontrato persone e libri che mi hanno aiutato a cambiare idea.
Quando alle superiori si iniziava a studiare qualcosa riguardante l’Africa si iniziava con il commercio triangolare, un avvenimento circoscritto che non dice niente nè dell’Africa nè delle persone che sono state deportate e schiavizzate. Ho iniziato a capire e a farmi delle domande in questo frangente, da adolescente. Discendendo da una popolazione che è stata sempre narrata in un certo modo, avevo bisogno di sapere qualcosa in più su quello che poteva essere il mio passato ma sui canali tradizionali non trovavo molto. E questa mia necessità è sempre stata sminuita da chiunque, anche da professori del liceo e questo ha rappresentato uno dei maggiori ostacoli negli anni. Sono stato più volte scoraggiato dallo studiare la storia e qualsiasi cosa fosse africano o afrodiscendente perché considerato di poco conto, folcloristico, trasmettendomi che di fondo quello che c’era da sapere si sapeva già. Tutt’ora la convinzione che hanno portato avanti i più famosi antropologi e filosofi dell’800 è che l’Africa non abbia mai contribuito all’umanità, e che sia un continente astorico, con dei popoli astorici. Molti antropologi andavano in Africa certi che studiando i popoli africani si studiava quello che erano stati i popoli europei in epoche antiche come se questo continente fosse rimasto indietro. In ogni fase dell’istruzione in Italia (e non solo, anche all’estero) quello che si racconta dell’Africa nella stragrande maggioranza dei casi è qualcosa raccontato da altri da un punto di vista solo occidentale e questo mi ha colpito molto. Quasi mai si vanno a studiare testi scritti da filosofi, scrittori, scienziati africani afrodiscendenti. Anche alla facoltà di antropologia ho capito che purtroppo la situazione era questa, magari con delle piccole eccezioni, e ciò ha alimentato ancora di più questa mia sete di conoscenza da fonti più autoctone. Infatti, sono poi andato in posti specifici, in momenti specifici, per motivi specifici, intessendo rapporti con molte persone che mi hanno potuto anche ospitare.
Prima dell’università ero già stato varie volte in Brasile e un paio di volte in Africa incrociando quasi per caso tradizioni culturali e spiritualità africane legate all’età precoloniale. Dopo l’università invece sono ritornato con il chiaro obiettivo di studiarle.
Sono stato in Madagascar, l’unico paese che esula dall’Africa dell’ovest dove ho potuto osservare il culto precoloniale degli antenati, che ho poi rivisto in Togo, Benin e Gana. Il rapporto ancestrale con i propri antenati è un filo conduttore comune a tutte le culture africane, che sono molto varie e diverse fra di loro. L’Africa è un continente enorme dove negli stessi paesi ci sono profonde differenze culturali ma sono anche caratterizzati dall’essere tutti molto legati al culto degli antenati e alle proprie filosofie tradizionali.

L’arte e la moda possono favorire una comprensione più profonda delle filosofie africane e afrodiscendenti in Italia?
Assolutamente sì, sono sempre state dei grandissimi veicoli di comunicazione culturale. Se vogliamo inquadrarli dal punto di vista afrocentrico rappresentano uno dei tanti modi in cui le popolazioni hanno scelto (perché è stata una scelta) la trasmissione dei saperi orali in modo non scritto sfruttando molto quello che è considerato moda e arte in occidente. Basti pensare i profondi significati che hanno i vari tessuti tradizionali africani o le opere d’arte: sono dei veri e propri libri per chi li sa leggere. Anni fa ho iniziato a studiare le filosofie e le tradizioni africane, soprattutto dell’Africa dell’ovest attraverso le opere d’arte, studiando il loro tessuto culturale. Oltre un valore rituale ed estetico veicolano dei valori e dei significati che sono propri dei contesti in cui sono nate.
Solo adesso sto notando gli effetti di una comprensione più profonda e meno superficiale di queste filosofie afro. Vedo la ricerca di un avvicinamento più rispettoso attraverso l’arte e la moda dove le culture africane sono veramente protagoniste. Si tratta solo di un inizio secondo me e ne stanno usufruendo molto gli afrodiscendenti. Queste cose stanno facendo molta presa su di loro soprattutto lì dove la formazione scolastica è molto carente rispetto alla narrazione ufficiale. Queste filosofie sono utili e fruibili da tutti e credo possano aprire gli orizzonti alle persone. Ma possono essere portate avanti solo da chi ne comprende il significato, ne rispetta le tradizioni, le origini e le proprietà culturali. Finalmente si cominciano lentamente a vedere delle aperture verso forme di bellezza diverse da quelle meramente occidentali. Se penso al Simao adolescente e a quello che aveva davanti quando guardava pubblicità, giornali e film sicuramente il cambiamento si vede anche se non è ancora qualcosa di immediato.

Pensi che potreste diventare i protagonisti nella creazione di una nuova struttura mondiale?
Wow! Sì, di sicuro la direzione dev’essere questa, rendere l’Africa protagonista.
Quando ho deciso di divulgare tutto questo grazie ai social, alle collaborazioni con varie realtà e Alaafia, l’ho fatto dopo aver ricevuto feedback importanti e molti incoraggiamenti, oltre che per un bisogno personale, e questo mi ha oltremodo convinto che tutto ciò sia fondamentale e serva per arrivare ad un vero e proprio cambiamento. L’obiettivo è cambiare le cose, è tutto in crescendo. Si otterrà ma non accadrà subito, perché non è facile e per diversi motivi. Fino ad ora il meccanismo è sempre stato questo: quando gli occidentali creano qualcosa fuori da quello che è geograficamente l’occidente questo qualcosa è comunque considerato occidentale. Quando l’Africa, o i popoli afrodiscendenti creano qualcosa fuori dall’Africa che ha una radice africana questa cosa viene o annullata o inglobata in qualcos’altro.
Facciamo un esempio, il samba è la musica brasiliana per eccellenza. Ma samba è una parola di origine bantu, e quello che adesso è conosciuto come samba è una musica che è nata dopo le cerimonie religiose della macumba e di tutte le tradizioni bantu e del Candomblé, infatti gli strumenti che si usano per suonare il samba tradizionale si ritrovano tuttora nella ritualità afrodiscendente. Finché il samba era considerato qualcosa di africano è stato vietato dal Brasile, questo accadeva fino agli anni ’40-’50 del ‘900. Quando però lo stato brasiliano ha potuto monetizzarlo attraverso il turismo è diventato magicamente brasiliano. Paradossalmente quello che prima lo stato vietava adesso è quello che il Brasile esporta di più, scuole e corsi di samba si trovano in tutta Italia, in tutta Europa e in tutto il mondo.

Cos’è per te la sostenibilità?
Per quanto mi riguarda è un ritorno alle radici seguendo il paradigma filosofico africano che è Sankofa. Significa imparare dal nostro passato e abbeverarci alle nostre tradizioni, per capire come si potrebbe fare meglio domani.
Le nostre tradizioni africane e afrodiscendenti sono tradizioni che adesso verrebbero chiamate con questo neologismo, “sostenibile”, perché profondamente ecologiche. La sostenibilità per me è l’unico modo che l’umanità ha per sopravvivere, gli esseri umani sono gli unici animali che distruggono il proprio habitat. La sostenibilità per me è anche anticapitalismo.
La cultura africana come altre molte culture tradizionali native, come quelle dei nativi brasiliani e dei nativi americani, sono culture in profonda simbiosi con la natura, la sostenibilità senza un rispetto della natura è difficile da ottenere, le persone in occidente vivono sempre più lontane dalla natura. Per molte persone, attualmente, essere immersi nella natura vuol dire avere l’orto sul balcone (che sicuramente è una bella cosa) ma è abbastanza significativo di cosa sia diventato l’occidente oggi.

(testo e intervista di Leda Peretta)

Foto – © Camilla Sanni

5. Ma tu lo sai cos’è la moda sostenibile?

Conversazione con A.I. sul sistema moda e la moda sostenibile

 

[A novembre 2022, OpenAI – un’organizzazione che si occupa di ricerca e sviluppo di intelligenze artificiali – ha presentato al pubblico ChatGPT. Si tratta di un nuovo chatbot, cioè un software che simula conversazioni umane rispondendo a frasi scritte o pronunciate dagli utenti tramite dispositivi digitali o su siti internet. Esistono già molti altri strumenti di questo tipo ma ChatGPT sembra stia riuscendo a produrre testi e dare risposte estremamente più articolate dei sui predecessori. Questo è possibile grazie all’enorme quantità di fonti – libri, articoli, documenti, ecc. – sui quali i suoi sviluppatori l’hanno addestrata. Le applicazioni di questo strumento potrebbero essere innumerevoli e in molti si stanno chiedendo se potrebbe rimpiazzare l’uomo in una serie di attività lavorative, generando anche una certa preoccupazione. Ma per raggiungere questo livello di efficienza ChatGPT ha avuto bisogno di avere accesso a tutta una serie di informazioni prodotte da innumerevoli autori. Questo aspetto ci ha incuriosito e ci siamo chiesti se quello dietro le AI (artificial intelligence) come ChatGPT potesse essere considerato una sorta di “pensiero collettivo”. Perciò abbiamo provato anche noi ad avviare una conversazione con ChatGPT per approfondire una questione che ci sta molto a cuore: ma lo sa cos’è la moda sostenibile?]

 

Cosa ne pensi del sistema moda attuale?

Come modello linguistico, non ho opinioni o sentimenti personali. Tuttavia, posso fornire informazioni sul tema del sistema moda. L’industria della moda è un sistema complesso e dinamico che comprende design, produzione, commercializzazione e distribuzione di abbigliamento e accessori. È un’industria multimiliardaria che svolge un ruolo significativo nell’economia globale. Tuttavia, ha anche un impatto ambientale e sociale significativo, inclusi inquinamento, rifiuti e problemi di manodopera. Sono in corso sforzi per rendere l’industria della moda più sostenibile ed etica, come l’uso di materiali ecologici e pratiche di lavoro eque.

 

Potresti descrivere più in dettaglio che tipo di impatto ha il sistema moda?

Certo, l’industria della moda ha una serie di impatti, sia positivi che negativi.

Sul lato positivo, l’industria della moda offre opportunità di lavoro, crescita economica ed espressione culturale. Può anche essere una fonte di innovazione e creatività, con nuovi design, materiali e tecnologie in continuo sviluppo.

Sul lato negativo, l’industria della moda può avere un impatto ambientale significativo. La produzione e lo smaltimento di indumenti e tessuti contribuiscono all’inquinamento e ai rifiuti, nonché all’esaurimento delle risorse naturali. L’uso di materiali sintetici e coloranti può anche avere effetti negativi sulla qualità dell’aria e dell’acqua. Inoltre, il fast fashion, caratterizzato da prezzi bassi, fatturato elevato e un focus su design di tendenza piuttosto che senza tempo, può portare a un alto livello di rifiuti tessili.

L’industria della moda ha anche una serie di impatti sociali ed etici. Molti degli abiti venduti nei paesi sviluppati sono prodotti nei paesi in via di sviluppo, dove le leggi e gli standard sul lavoro possono essere più deboli. Ciò può portare a cattive condizioni di lavoro e bassi salari per i lavoratori in questi paesi. Inoltre, in alcuni paesi è stato segnalato l’uso del lavoro minorile e del lavoro forzato nella produzione di abbigliamento.

Nel complesso, l’industria della moda è un sistema complesso che ha un impatto significativo sull’ambiente, sulla società e sull’economia. Ci sono molti sforzi in corso per affrontare questi problemi, compreso lo sviluppo di pratiche di moda sostenibili ed etiche.

 

Di quali sforzi per affrontare i problemi del sistema moda stai parlando?

Sono stati compiuti numerosi sforzi per affrontare i problemi all’interno dell’industria della moda, tra cui:

  1. Produzione sostenibile ed etica: molte aziende di moda e designer stanno lavorando per ridurre la loro impronta ambientale e migliorare le condizioni di lavoro nella loro catena di fornitura. Ciò può includere l’utilizzo di materiali ecologici, la riduzione del consumo di acqua ed energia e l’attuazione di pratiche di lavoro eque.
  2. Moda lenta: la moda lenta è un’alternativa alla moda veloce, che enfatizza l’uso di materiali di alta qualità, sostenibili e prodotti eticamente, nonché design senza tempo che dureranno per molte stagioni. La moda lenta consiste nel produrre capi sostenibili e di lunga durata, invece di quelli veloci e usa e getta.
  3. Economia circolare: l’economia circolare è un’alternativa all’economia lineare tradizionale, che si basa sui principi di riduzione, riutilizzo e riciclo. Questo approccio mira a mantenere le risorse in uso il più a lungo possibile, estraendo da esse il massimo valore prima di recuperare e rigenerare prodotti e materiali al termine di ogni vita utile.
  4. Trasparenza: molte organizzazioni e iniziative stanno lavorando per aumentare la trasparenza nel settore della moda, fornendo ai consumatori informazioni sulle condizioni in cui vengono prodotti i vestiti e sull’impatto ambientale dei diversi materiali e metodi di produzione.
  5. Educazione e consapevolezza: c’è un crescente movimento per educare i consumatori, i designer e le parti interessate del settore sugli impatti dell’industria della moda e sui modi per promuovere pratiche sostenibili ed etiche.

Questi sono solo alcuni esempi e ci sono molte altre iniziative e organizzazioni che lavorano per affrontare i problemi all’interno dell’industria della moda. È importante notare che si tratta di un problema complesso e sfaccettato e richiederà uno sforzo collaborativo tra industria, governo e consumatori per apportare cambiamenti significativi.

 

Ci sono prove che questi sforzi stiano producendo risultati?

Ci sono prove che questi sforzi stanno avendo un impatto sull’industria della moda. Per esempio:

  1. Produzione sostenibile ed etica: molte aziende di moda e designer stanno implementando pratiche sostenibili ed etiche nei loro processi di produzione. Ad esempio, alcune aziende utilizzano materiali sostenibili come il cotone biologico e altre stanno implementando standard di lavoro equi.
  2. Slow fashion: la “moda lenta” sta diventando sempre più popolare man mano che i consumatori diventano più consapevoli dell’impatto della moda veloce. Molte aziende di moda stanno adottando pratiche di moda lenta, come la produzione di capi di alta qualità, sostenibili ed eticamente prodotti.
  3. Economia circolare: l’economia circolare sta guadagnando terreno nel settore della moda, con un numero crescente di aziende e organizzazioni che implementano i principi dell’economia circolare nei loro processi di produzione e supply chain.
  4. Trasparenza: c’è un crescente movimento per aumentare la trasparenza nel settore della moda, con molte organizzazioni e iniziative che lavorano per fornire ai consumatori informazioni sulle condizioni in cui vengono prodotti i vestiti e sull’impatto ambientale dei diversi materiali e metodi di produzione.
  5. Educazione e consapevolezza: c’è una crescente consapevolezza dell’impatto dell’industria della moda e dell’importanza di pratiche sostenibili ed etiche. Ciò è evidente nel numero crescente di programmi educativi e iniziative incentrate sulla moda sostenibile.

È importante notare che cambiare un intero settore non è un compito facile e ci vorrà del tempo per vedere il reale impatto di queste azioni. Inoltre, è importante considerare che ci sono molti attori diversi nel settore della moda e che i cambiamenti saranno diversi a seconda delle dimensioni, della posizione e del tipo di attività. Tuttavia, queste azioni sono un passo nella giusta direzione e stanno contribuendo a portare l’attenzione sui problemi all’interno del settore e promuovere un cambiamento positivo.

 

Se fossi un’azienda quale cambiamento attueresti per migliorare la situazione?

Come modello linguistico, non sono in grado di avere preferenze o opinioni personali, quindi non posso dire quale cambiamento attuerei se fossi un’azienda. Tuttavia, posso fornire informazioni su alcuni cambiamenti che le aziende possono apportare per migliorare la situazione all’interno dell’industria della moda.

  1. Produzione sostenibile ed etica: le aziende possono implementare pratiche sostenibili ed etiche nei loro processi di produzione, come l’utilizzo di materiali sostenibili e l’implementazione di standard di lavoro equi. Ciò può contribuire a ridurre l’impatto ambientale della produzione e migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori della filiera.
  2. Slow fashion: le aziende possono adottare pratiche di “moda lenta”, come la produzione di capi di alta qualità, sostenibili ed eticamente prodotti e promuovere design senza tempo che dureranno per molte stagioni. Questo può aiutare a ridurre i rifiuti tessili e promuovere un consumo sostenibile.
  3. Economia circolare: le aziende possono implementare i principi dell’economia circolare nei loro processi di produzione e catena di approvvigionamento, come la riduzione, il riutilizzo e il riciclaggio dei materiali, nonché la progettazione di prodotti facili da riparare, rinnovare e riciclare.
  4. Trasparenza: le aziende possono aumentare la trasparenza nelle loro operazioni, fornendo ai consumatori informazioni sulle condizioni in cui vengono prodotti i vestiti e sull’impatto ambientale dei diversi materiali e metodi di produzione. Questo può aiutare i consumatori a prendere decisioni di acquisto più informate.
  5. Educazione e consapevolezza: le aziende possono investire nell’educazione di dipendenti, consumatori e altre parti interessate sull’impatto dell’industria della moda e sull’importanza di pratiche sostenibili ed etiche. Questo può aiutare a promuovere un cambiamento positivo all’interno del settore.

In definitiva, i cambiamenti specifici che un’azienda sceglie di implementare dipenderanno dalle sue circostanze uniche, come le dimensioni, l’ubicazione e il modello di business. Tuttavia, implementando pratiche sostenibili ed etiche, le aziende possono contribuire a ridurre l’impatto dell’industria della moda sull’ambiente e sulla società.

 

C’è qualche azienda che sembra posizionata meglio di altre nell’attuazione di questi sforzi?

Ci sono un certo numero di aziende che sono considerate leader nella moda sostenibile ed etica […] e ci sono molte altre aziende che si stanno impegnando per implementare pratiche sostenibili ed etiche nel settore della moda. Vale la pena notare che la sostenibilità è un viaggio e non una destinazione, quindi anche queste aziende hanno aree in cui possono migliorare. Inoltre, è importante ricercare e valutare le pratiche e le affermazioni specifiche di qualsiasi azienda prima di effettuare un acquisto.

 

L’enorme produzione di un’azienda di fast fashion può diventare sostenibile?

L’industria del fast fashion è caratterizzata da prezzi bassi, fatturato elevato e un focus su design di tendenza piuttosto che senza tempo. Questo modello di produzione può portare a un livello elevato di rifiuti tessili, nonché a impatti ambientali e sociali negativi.

Tuttavia, è possibile che le aziende di fast fashion diventino più sostenibili. Ciò comporterebbe probabilmente uno spostamento verso un approccio alla moda più lento, con un’enfasi sulla produzione di capi di alta qualità, sostenibili ed eticamente progettati per durare per molte stagioni. Le aziende possono anche adottare principi di economia circolare come la riduzione, il riutilizzo e il riciclaggio dei materiali, nonché la progettazione di prodotti facili da riparare, rinnovare e riciclare.

Inoltre, le aziende di fast fashion possono implementare pratiche sostenibili ed etiche nei loro processi di produzione, come l’utilizzo di materiali sostenibili e l’implementazione di standard di lavoro equi. Possono anche investire nella trasparenza, fornendo ai consumatori informazioni sulle condizioni in cui vengono prodotti i vestiti e sull’impatto ambientale dei diversi materiali e metodi di produzione.

Tuttavia, è importante notare che diventare veramente sostenibili è un compito impegnativo e continuo e richiede un impegno a lungo termine e uno sforzo costante. Richiede anche un cambiamento nel modello di business e nel modo in cui opera l’azienda, che può essere difficile e richiedere un investimento significativo. È anche importante considerare che il modello fast fashion si basa su prezzi bassi e un fatturato elevato, quindi può essere difficile mantenere questo modello implementando allo stesso tempo pratiche sostenibili.

 

L’arte potrebbe aiutare la sostenibilità?

L’arte può favorire la sostenibilità in diversi modi:

  1. Sensibilizzazione: l’arte può essere utilizzata come un potente strumento per aumentare la consapevolezza su questioni ambientali e sociali, come il cambiamento climatico, l’inquinamento e la disuguaglianza sociale. Attraverso l’arte, le persone possono essere coinvolte in un modo sia emotivo che educativo e può ispirarle ad agire per promuovere la sostenibilità.
  2. Ispirazione e innovazione: l’arte può ispirare e motivare le persone a pensare in modo diverso al mondo che le circonda. Gli artisti sono spesso in grado di portare una nuova prospettiva a questioni complesse, e questo può portare a nuove idee e soluzioni a vantaggio della sostenibilità.
  3. Comunità coinvolgenti: l’arte può essere utilizzata per coinvolgere le comunità e riunire le persone per lavorare verso un obiettivo comune. Ad esempio, i progetti artistici della comunità possono essere utilizzati per promuovere il riciclaggio, la conservazione e altre iniziative di sostenibilità.
  4. Cambiamento sociale e culturale: l’arte può anche svolgere un ruolo nella promozione del cambiamento sociale e culturale, essenziale per la sostenibilità. Ad esempio, l’arte può essere utilizzata per sfidare gli stereotipi e promuovere la diversità e può contribuire a creare una società più inclusiva ed equa.
  5. Rappresentazione del futuro: gli artisti possono anche aiutarci a immaginare un futuro in cui vogliamo vivere, più sostenibile, equo e vivibile. Può servire come un modo per ispirare e motivare le persone verso un futuro migliore.

È importante notare che l’arte da sola non è sufficiente per realizzare la sostenibilità, ma può essere uno strumento importante per sensibilizzare, ispirare e coinvolgere le persone nello sforzo di creare un futuro più sostenibile.

 

Secondo te cos’è la sostenibilità?

Come modello linguistico, non ho opinioni o sentimenti personali. Tuttavia, posso fornire informazioni sul tema della sostenibilità.

La sostenibilità è un concetto complesso e sfaccettato, spesso definito in modi diversi a seconda del contesto. In generale, si riferisce alla capacità di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. Ciò include aspetti economici, sociali e ambientali, con l’obiettivo di creare un futuro migliore per tutti.

Nel contesto dell’industria della moda, la sostenibilità si riferisce alla capacità di produrre e consumare abbigliamento e tessuti in un modo che non danneggi l’ambiente, che non sfrutti i lavoratori e che promuova un’economia circolare. Ciò include la riduzione dell’impatto ambientale, come la riduzione del consumo di acqua ed energia e l’utilizzo di materiali ecologici, nonché la promozione dei principi dell’economia circolare come la riduzione, il riutilizzo e il riciclaggio dei materiali.

La sostenibilità è uno sforzo continuo, richiede un continuo adattamento e collaborazione tra individui, organizzazioni e governi. È un processo di miglioramento continuo che mira a creare un futuro migliore per tutti.

 

(testo di Carmen Guarino & ChatGPT)

6. SWAPUSH: la startup che ha portato il baratto nel futuro / Intervista a Serena Luglio

 

Chi è Serena Luglio?

Sono una swapper seriale, fin da quando ero piccola amavo il baratto: dalle penne a scuola, alle ripetizioni contro vestiti, una vera mania.

Attualmente sono dipendente American Express, ma il gioco di quando ero bambina è diventato una startup sulla sostenibilità ed il baratto

 

Che cos’è swapush?

Swapush è la mia startup nata per diffondere il verbo del baratto a 360°: eventi sia per aziende che per privati e l’app che consente di scambiare quotidianamente. La pillola è il simbolo di swapush ma anche la sua moneta virtuale, un token che funge da acceleratore degli scambi e che funziona solo all’interno dell’app. Swapush è un Vinted senza i soldi, una piattaforma che consente di convertire quello che non si usa in qualcosa di nuovo, il primo portale di shopping sostenibile ed a costo zero.

 

Quali sono i punti di contatto tra Serena e Swapush?

Swapush è la trasposizione di come Serena vede la vita. Networking, divertimento, digital e sostenibilità. La community è l’elemento fondamentale, fatto di persone che amano stare assieme anche nella vita reale, che si supportano e cercano di mettere attenzione per l’ambiente in tutto quello che fanno. 

 

Come è nata swapush?

Swapush è nata in modo molto naturale quando la community degli swap party cresceva ed io non ero più in grado di gestirla manualmente, basandomi solo sulla mia capacità organizzativa e mnemonica. Serviva un punto di contatto online e da lì è nata la pagina e poi successivamente è venuta l’idea di consentire alle persone di scambiare online. Nel 2015 è nata la società e l’app, a causa di varie vicissitudini, ha visto la luce a maggio 2020, in concomitanza con il covid che ci ha dato un impulso forte a spingere sull’online. 

 

Swapush è un esempio di collettivo?

La community si supporta e si sostiene, una dimostrazione ne sono le spedizioni collettive organizzate grazie alla collaborazione. Una persona riceve e colletta i pacchi in partenza su una città coordinando il riempimento e la suddivisione delle quote. In questo modo si risparmia sui costi e si risparmia trasporto su gomma in quanto si manda un solo pacco invece di N.

 

Puoi parlarci degli aspetti di sostenibilità legati a Swapush?

Swapush è 100% sostenibilità. Un esempio immediato è quello che facciamo durante gli swap party: cataloghiamo tutti gli oggetti a seconda della tipologia (ogni materiale ha un pesa diverso in termini di smaltimento ) e siamo in grado di restituire un report che considera i kg totali di rifiuti salvati dal macero e C02, acqua ed energia risparmiati con il mancato smaltimento. Normalmente ad un evento swap salviamo circa 150kg di indumenti. 

 

Progetti per il futuro?

Nell’immediato futuro stiamo cercando di diffondere gli eventi aziendali su cui scommettiamo molto anche sulla spinta dell’obbligo del bilancio di sostenibilità per le grandi aziende. Se invece guardo più lontano mi piacerebbe crescere fino a portare Swapush all’estero, Vinted è il modello a cui guardo.

 

Che cos’è per te la sostenibilità?

Per me la sostenibilità è e deve essere uno stile di vita. Scelte sostenibili che diventano sane abitudini: dalla doccia breve alla raccolta differenziata all’uso della bici ove possibile e chiaramente barattare invece di buttare.

 

(testo di Francesca Rizzi)

7. Ricordi

 

Hai mai pensato a quanto di te sono gli altri?

Ho sempre pensato di essere nato con uno scopo. Ora non ne sono più così sicuro.

La mia vita è iniziata quando qualcuno ha deciso che ero affascinante e amabile, e sono diventato la cornice di un grande dipinto. Con il tempo ci siamo conosciuti molto bene. Portava il mio peso e io proteggevo i suoi segreti. Il modo in cui le persone le sorridevano e mi facevano i complimenti anche se non avevo meriti, come possono le persone essere così cieche di fronte alla bellezza?

Ci siamo presi cura l’uno dell’altro per anni. Si è sposata e ha avuto dei figli. Ero sempre con lei. Il giorno del suo matrimonio, ha pianto di gioia e abbiamo ballato tutta la notte.

Non è stato sempre fantastico, nei momenti in cui non stavamo insieme mi sentivo ansioso e geloso. Sapevo che sarebbe venuta per me. Dopo tanto tempo, un giorno finalmente mi prese in braccio e ripulì il mio dolore.

In tutti questi anni ho riflesso la sua luce, e ora non sono più suo. La sua giovinezza svanì, non si sentiva più degna quindi mi tradì. Ora sono a pezzi. Hanno provato a sistemarmi. Ha funzionato per un po’, ma immagino che anch’io stia invecchiando. Non risplendo più così tanto e sicuramente posso essere un peso. Passo la maggior parte dei miei giorni avvolto nella carta in attesa di essere riparato.

Immagino che quello che sto cercando di dire sia che ho paura di essere dimenticato, inutile. Penso ancora a lei e a quanto mi piacerebbe tornare a casa.

Ora che non sono più utile, ho perso me stesso.

Spero che parli ancora di me alla gente e che non abbia dimenticato i nostri ricordi.

I primi amori sono difficili da dimenticare. Sono troppo vecchio per puntare alla perfezione ma spero ancora di trovare una casa.

(testo di Camilla Sanni)

Foto – © Camilla Sanni

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